Errori e pignolerie
Il perfezionismo solitario del copy
Un buon copy, si sa, è progettato e costruito per attirare l’attenzione. Ma se ad attirare l’attenzione fosse, invece che un buon contenuto detto con un tono di voce accattivante e un gioco di senso curioso… un refuso?
“Eh, vabbè, che pignoleria”, si potrebbe pensare. Se la fuga di errorini di battitura o, peggio ancora, lo sdoganamento incontrollato di veri e propri errori grammaticali può far storcere il naso ad alcuni, convinti che l’attenzione alla forma della lingua sia solo un orpello aggiuntivo al senso, beh, diciamolo una volta per tutte: non è affatto così.
Se il copy, inteso qui nel senso di colui o colei che scrive il copy è in genere additato come l’esperto di linguaggi, un motivo ci sarà. Ed è innanzitutto la competenza che porta con sé sullo strumento che ha a disposizione. La lingua è una leva potentissima per dare senso al mondo, ed è forse il congegno più malleabile di tutti: più dei video, delle foto, persino dell’AI che, non a caso, di linguaggio umano si nutre per migliorare sempre più. Non è un caso se il linguaggio è proprio della specie umana, che ha dato i nomi alle cose per descrivere il mondo. Ma, speculazioni filosofiche a parte, nella sua creatività ogni lingua possiede regole che, in quanto tali, è bene rispettare. Perché?
Innanzitutto, perché faciliteremo la comprensione. Pensa se dimenticassimo costantemente l’accento sulla voce del verbo dare alla terza persona e scrivessimo che “Giovanni da un regalo a Maria”, ma anche che “Giovanni da tempo studia con attenzione la grammatica”. Potremmo pensare che la lingua non distingua tra un verbo e una preposizione. Sbagliato: dà, inteso come egli fa l’azione di dare, vuole sempre l’accento. E avanti così per tante altre regole.
In secondo luogo, perché daremo prova di essere persone non improvvisate, ma competenti e, ancor di più, consapevoli dei mezzi che si stanno usando, delle loro regole, e perché no dei confini oltre i quali quelle regole non valgono più. Il copy è anche un creativo: saper creare idee e “sensi” dal nuovo richiede per forza di cose che si conoscano perfettamente le regole di quel che già esiste. Solo così si potrà esplorare il mondo fuori, presentandolo al mondo già noto con la strategia retorica che meglio si adatta al caso.
“Eh, vabbè, che pignoleria”: di nuovo. Sì, è il terzo motivo per cui rispettare le regole: la pignoleria, intesa come la voglia di fare bene il proprio lavoro, nel rispetto dell’interlocutore. Oltre a farsi capire, un buon copy rispetta la voce e l’immagine del suo cliente. Che risultato otterrebbe se infarcisse di inesattezze o veri e propri sbagli ciò che fa dire a chi si è fidato di lui o di lei? Nel migliore dei casi, una smorfia insospettita, nel peggiore la perdita di fiducia, e il conseguente abbandono del cliente.
La sciatteria e la superficialità non hanno spazio nella valigetta degli attrezzi di un buon copy. Al contrario, a garanzia di un lavoro ben fatto troverai sempre attenzione, molti dubbi, da risolvere con l’aiuto di dizionari (della lingua, dei sinonimi, analogici…), orecchie allenate (la lingua è anche un fatto sonoro: ne riparleremo) e la vergogna per un refuso sfuggito tra le dita e la tastiera. Ma, attenzione, fuori dalla tipografia, oggi in molti casi questa vergogna si può in parte risolvere. Correggere, del resto, è il primo passo per non sbagliare più!
Foto di Milad Fakurian su Unsplash
Alessandra Chiappori
Copywriter
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